Romeo Castellucci, fondatore della compagnia teatrale Socìetas Raffaello Sanzio, riflette sulla sua carriera e sulla sua ricerca artistica, incentrata sulla decostruzione del linguaggio nel teatro occidentale. Il linguaggio, inteso come strumento di coercizione e conflitto, è al centro del suo lavoro, in cui il corpo diventa un veicolo per esplorare le tensioni tra parola e significato. Fin dalle prime opere, come Santa Sofia. Khmer Theatre, Castellucci ha sviluppato un teatro iconoclasta, in cui il linguaggio è visto come un campo di battaglia. Nella sua interpretazione di Giulio Cesare, la retorica viene messa in crisi attraverso la voce alterata di un attore laringectomizzato, rivelando il paradosso tra l’efficacia del discorso e la sua fragilità. La tragedia è un elemento ricorrente nella sua opera, da Orestea fino a Tragedia Endogonidia, un ciclo di spettacoli che esplora la tragedia senza catarsi, evidenziando la crudeltà e la violenza insite nella rappresentazione teatrale. Castellucci vede la violenza come una componente essenziale del teatro, non nel senso spettacolare o hollywoodiano, ma come un’esperienza che destabilizza lo spettatore, costringendolo a confrontarsi con se stesso. Questo approccio emerge in lavori come Bros, dove uomini comuni, trasformati in poliziotti attraverso la divisa, eseguono ordini senza consapevolezza, svelando il potere del controllo sociale e dell’obbedienza cieca. La sua visione del teatro è totale: scenografia, luci, suono e corpo concorrono a creare immagini di forte impatto. Il suono gioca un ruolo cruciale, penetrando direttamente nell’emotività dello spettatore, aggirando la razionalità. L’opera lirica, da Wagner a Feldman, è per Castellucci una naturale estensione di questa ricerca, dove il pubblico è immerso in un flusso sonoro che ne amplifica l’esperienza sensoriale e concettuale.
La memoria è l'anima dell'uomo e della civiltà, fondamento dell'identità individuale e collettiva, senza la quale l'essere umano diventa un guscio vuoto. Con l'età, si recuperano ricordi remoti e la memoria si espande, accrescendo la nostra essenza interiore, rendendoci più consapevoli di noi stessi. Tuttavia, la memoria è selettiva: dimentichiamo ciò che ci turba e conserviamo ciò che ci conforta, talvolta deformandolo. Questo processo è evidente anche nelle dinamiche sociali: i gruppi reazionari riabilitano ricordi convenienti, mentre quelli rivoluzionari tendono a cancellare il passato per costruire un nuovo inizio. La memoria collettiva si manifesta nelle biblioteche, custodi della conoscenza umana, e nella cultura europea, che sopravvive solo attraverso la continua riscoperta delle proprie radici. Dante stesso descrive Dio come un volume che raccoglie tutto ciò che nell'universo si disperde, simboleggiando l'idea della biblioteca universale. La fragilità della memoria è un tema urgente nella modernità, come anticipato da Asimov, che immaginava un mondo dominato dai computer, dove la perdita delle capacità mnemoniche rendeva l'uomo dipendente dalla tecnologia. L'atrofizzazione della memoria minaccia le nuove generazioni, incapaci di trattenere informazioni senza supporti esterni, riducendo la profondità della conoscenza personale. La memoria individuale si compone di ricordi pubblici e privati, ma i secondi sono più vulnerabili alla dimenticanza. Riscoprire la propria storia attraverso frammenti di memoria collettiva è una strategia per ricostruire l’identità personale. Vivere nel tempo implica un movimento costante tra passato e futuro, come sottolineava Heidegger, e la conoscenza si sviluppa grazie all’eredità dei giganti del passato, sulle cui spalle possiamo vedere più lontano.