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lunes, 3 de marzo de 2025

Romeo







Romeo Castellucci, fondatore della compagnia teatrale Socìetas Raffaello Sanzio, riflette sulla sua carriera e sulla sua ricerca artistica, incentrata sulla decostruzione del linguaggio nel teatro occidentale. Il linguaggio, inteso come strumento di coercizione e conflitto, è al centro del suo lavoro, in cui il corpo diventa un veicolo per esplorare le tensioni tra parola e significato. Fin dalle prime opere, come Santa Sofia. Khmer Theatre, Castellucci ha sviluppato un teatro iconoclasta, in cui il linguaggio è visto come un campo di battaglia. Nella sua interpretazione di Giulio Cesare, la retorica viene messa in crisi attraverso la voce alterata di un attore laringectomizzato, rivelando il paradosso tra l’efficacia del discorso e la sua fragilità. La tragedia è un elemento ricorrente nella sua opera, da Orestea fino a Tragedia Endogonidia, un ciclo di spettacoli che esplora la tragedia senza catarsi, evidenziando la crudeltà e la violenza insite nella rappresentazione teatrale. Castellucci vede la violenza come una componente essenziale del teatro, non nel senso spettacolare o hollywoodiano, ma come un’esperienza che destabilizza lo spettatore, costringendolo a confrontarsi con se stesso. Questo approccio emerge in lavori come Bros, dove uomini comuni, trasformati in poliziotti attraverso la divisa, eseguono ordini senza consapevolezza, svelando il potere del controllo sociale e dell’obbedienza cieca. La sua visione del teatro è totale: scenografia, luci, suono e corpo concorrono a creare immagini di forte impatto. Il suono gioca un ruolo cruciale, penetrando direttamente nell’emotività dello spettatore, aggirando la razionalità. L’opera lirica, da Wagner a Feldman, è per Castellucci una naturale estensione di questa ricerca, dove il pubblico è immerso in un flusso sonoro che ne amplifica l’esperienza sensoriale e concettuale.

Sandro Pertini






Il Presidente più amato dagli italiani. Sandro Pertini (1896-1990) è stato un politico, partigiano e giornalista italiano, settimo Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985. Nato a Stella, in Liguria, si laureò in giurisprudenza e scienze politiche, aderendo fin da giovane al socialismo. Antifascista convinto, fu arrestato più volte dal regime e condannato al confino. Dopo l’8 settembre 1943, si unì alla Resistenza come dirigente del Comitato di Liberazione Nazionale, svolgendo un ruolo chiave nella lotta partigiana. Dopo la guerra, entrò nell’Assemblea Costituente e fu deputato e senatore, distinguendosi per il suo rigore morale e la difesa dei valori democratici. Nel 1968 divenne Presidente della Camera e, dieci anni dopo, fu eletto Capo dello Stato con un consenso larghissimo. Durante il suo mandato affrontò momenti difficili della storia italiana, come il terrorismo delle Brigate Rosse, il terremoto in Irpinia e la vittoria ai Mondiali del 1982, che lo rese simbolo di un'Italia unita e appassionata. Amato per il suo carattere schietto e popolare, Pertini incarnò l’idea di un Presidente vicino al popolo. Dopo la fine del suo mandato, si ritirò dalla politica attiva, continuando a esprimere opinioni critiche sulla società italiana. Morì a Roma nel 1990, lasciando un’eredità di integrità e passione civile che lo rende ancora oggi uno dei Presidenti più amati della storia italiana.

Primo Levi




Primo Levi: la memoria e l’identità di un testimone del Novecento. Primo Levi, nato a Torino nel 1919, fu chimico e scrittore, ma soprattutto testimone della Shoah. Laureato in chimica nel 1942, nel 1943 si unì ai partigiani, ma venne catturato e deportato ad Auschwitz nel febbraio 1944. Sopravvissuto grazie alle sue competenze chimiche, fu liberato nel gennaio 1945 dall’Armata Rossa e tornò in Italia dopo un lungo viaggio attraverso l’Europa. L’esperienza nel lager lo segnò profondamente e lo spinse a scrivere Se questo è un uomo (1947), uno dei testi più importanti sulla deportazione nazista, caratterizzato da uno stile asciutto, privo di retorica e di emotività forzata. Negli anni successivi, Levi continuò la sua carriera di chimico, ma la scrittura divenne sempre più centrale. La tregua (1963) racconta il ritorno dalla prigionia, mentre Il sistema periodico (1975) intreccia scienza e autobiografia. I sommersi e i salvati (1986) analizza i meccanismi psicologici della prigionia e il senso di colpa dei sopravvissuti. Levi rifletteva sul significato dell’identità ebraica, che sentì pienamente solo dopo le leggi razziali e la deportazione. Il suo rapporto con la Germania rimase complesso, diviso tra diffidenza e curiosità per il nuovo assetto post-bellico. Nonostante il suo ottimismo di fondo, Levi lottò con la memoria dolorosa del lager. Nel 1987 morì suicida nella sua casa di Torino. Il suo lascito resta un monito alla responsabilità della memoria: "Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario."

sábado, 15 de febrero de 2025

Hölderlin e la scrittura: parola, silenzio e vertigine poetica










 


La scrittura di Friedrich Hölderlin si configura come un’esperienza liminale, un territorio in cui la parola cessa di essere semplice strumento comunicativo per diventare evento, rivelazione, tensione metafisica. La sua poesia, densa di fratture, interruzioni e cesure, riflette un rapporto con il linguaggio che è al tempo stesso estatico e tragico, segnato dall’impossibilità di dire pienamente il mondo e dall’urgenza di tentare comunque questa impresa impossibile. Per Hölderlin, la parola poetica non è un mezzo descrittivo, ma un’azione, un atto che incide nel reale, che lo trasfigura e lo ricrea, rendendo visibile l’invisibile. Nella sua concezione, il poeta è un medium tra il divino e l’umano, tra il tempo e l’eternità. La lingua poetica si fa tensione verso l’assoluto, ma questa tensione è continuamente frustrata dall’inadeguatezza del linguaggio stesso, che si spezza, si lacera, si interrompe. Il suo stile è segnato da anacoluti, inversioni sintattiche, pause improvvise che non sono semplici anomalie formali, ma il sintomo di un pensiero che procede per illuminazioni e abissi, per slanci e crolli. L’elemento centrale nella scrittura hölderliniana è la cesura: una pausa improvvisa, un arresto che interrompe il flusso della frase, creando un vuoto carico di significato. Non è un semplice silenzio, ma un momento di sospensione e rivelazione, un punto in cui il linguaggio si confronta con il proprio limite. Questa concezione della parola come evento interrotto, come qualcosa che si manifesta e insieme si nega, è ciò che rende la sua scrittura così radicalmente moderna e ancora oggi vertiginosa. Per Hölderlin, il poeta è un essere esposto all’assoluto, costretto a un confronto con una verità che non può essere pienamente posseduta. La scrittura diventa allora un esercizio di equilibrio sul crinale del dicibile e dell’indicibile, un viaggio in cui la parola si carica di un’intensità quasi insostenibile. La sua opera rappresenta uno degli apici della poesia occidentale, proprio perché non cerca di risolvere il mistero dell’esistenza, ma di abitare la frattura, di stare nell’inquietudine, nel rischio, nel vuoto. La sua influenza è stata enorme su filosofi, artisti e registi, tra cui Romeo Castellucci, che ha fatto della parola hölderliniana un elemento centrale nel suo teatro. L’idea di una lingua che non spiega ma evoca, che non descrive ma agisce, si ritrova nel lavoro di Castellucci, dove il testo diventa puro suono, materia, gesto, un’entità che esplode e si dissolve. Come Hölderlin, anche Castellucci cerca un teatro che sia rivelazione e trauma, un’esperienza in cui il linguaggio non è più un veicolo di significati preconfezionati, ma un evento di verità, una fenditura attraverso cui si intravede l’abisso.

Romeo









Il teatro di Romeo Castellucci: un linguaggio di segni, visioni e detonazioni sensoriali. Il lavoro di Romeo Castellucci, regista e drammaturgo tra i più innovativi della scena teatrale contemporanea, è caratterizzato da un’estetica radicale in cui il linguaggio si disarticola per farsi segno, immagine e impatto sensoriale. Fondatore della Socìetas Raffaello Sanzio, Castellucci ha elaborato un teatro in cui la parola non è più veicolo di narrazione lineare, ma esplosione simbolica, capace di evocare universi percettivi e filosofici. Il suo approccio si distingue per una drammaturgia non discorsiva, che si nutre di testi sacri, riferimenti letterari e riflessioni sulla condizione umana. La Bibbia, Hölderlin, Hawthorne, ma anche il linguaggio visivo della pittura rinascimentale e la brutalità della carne in scena diventano elementi fondanti di una poetica che disgrega la rappresentazione tradizionale. La sua ricerca parte dall’idea che la parola sia un’arma a doppio taglio: da un lato essa inchioda il senso, cristallizzandolo, dall’altro è un’entità instabile, un campo minato carico di ambiguità. Per questo, nei suoi spettacoli, le parole si frantumano, diventano sillabe scisse, suoni radioattivi, e il testo scritto si tramuta in corpo, gesto e vibrazione visiva. Nel teatro di Castellucci, l’immagine assume una dimensione sacra e apocalittica. Egli costruisce quadri viventi in cui il corpo dell’attore si trasforma in relitto sacrificale, esposto al tempo e all’erosione della materia. Le sue composizioni sceniche attingono a un immaginario iconografico stratificato, in cui si fondono le tensioni mistiche della pittura medievale e la visionarietà perturbante del cinema sperimentale. Il suo utilizzo della luce e del suono è ipnotico: bagliori improvvisi, frequenze infrasoniche, silenzi assordanti che aprono varchi nella percezione dello spettatore. Le sue opere, come Genesi. From the Museum of Sleep o The Four Seasons Restaurant, non cercano di narrare ma di evocare, di incidere nel subconscio collettivo attraverso un’estetica del trauma e della catarsi. L’animale è un elemento ricorrente nelle sue messe in scena, non come simbolo metaforico, ma come frammento di realtà indomabile, un cortocircuito tra finzione e presenza pura. Il cane, il cavallo, la scimmia non recitano, esistono sulla scena senza mediazioni, portando con sé un’energia prelinguistica che smaschera la natura artefatta della rappresentazione. La loro presenza amplifica il senso di spaesamento e precarietà, ponendo lo spettatore davanti a una forma di irriducibile alterità. In questa tensione tra sacro e bestiale, tra divino e biologico, si inscrive il senso ultimo del teatro castelluccianno: un teatro dell’origine e dell’abisso, che interroga lo statuto stesso della realtà. Il ruolo dello spettatore è centrale nel suo lavoro, perché è nella mente di chi guarda che l’opera si compie. Castellucci lo definisce il “palcoscenico ultimo”, sottolineando come il teatro esista solo nel momento in cui viene ricevuto, interiorizzato, trasfigurato. Non si tratta di un pubblico passivo, ma di un testimone coinvolto in un’esperienza che sovverte le sue certezze. Gli spettacoli di Castellucci non sono mai didascalici: non impongono interpretazioni, non guidano la percezione, ma aprono uno spazio di disorientamento in cui il senso sfugge, implode, si ricompone in infinite variabili. La potenza di questo teatro risiede proprio in questa tensione tra iper-controllo formale e imprevedibilità percettiva, tra una composizione scenica calibrata al millimetro e la libertà di decodifica individuale. La figura dell’attore, in questo contesto, non è più quella tradizionale. Non è un interprete, non incarna un personaggio, ma è un vettore di forze, un medium attraverso cui il visibile si manifesta. Spesso nei suoi spettacoli gli attori sono presenze enigmatiche, esseri sospesi tra umano e sovrumano, corpi esposti all’entropia e alla trasfigurazione. Il loro movimento è essenziale, geometrico, a tratti ieratico, eppure sempre carico di una tensione che li rende vulnerabili, sull’orlo di una rivelazione. L’idea di violenza è un altro fulcro della sua poetica. Ma non si tratta di una violenza sanguinaria, né di una brutalità gratuita: è una violenza simbolica, che scuote, che strappa lo spettatore dalla comfort zone, che lo costringe a un confronto con l’irreversibilità del tempo e la fragilità dell’esistenza. Nei suoi spettacoli, la violenza è anche un atto di disvelamento, un modo per sovvertire le convenzioni percettive e riportare il teatro alla sua funzione primordiale: quella di un rito che interrompe la continuità del reale. In contrappunto alla violenza, la grazia è l’altro principio cardine della sua estetica. Ma la grazia, in Castellucci, non è leggerezza, né armonia consolatoria. È un equilibrio precario, una forma di bellezza insostenibile, capace di generare vertigine. Un quadro di Botticelli, una figura sospesa nel vuoto, un volto velato sono elementi che, nella sua messa in scena, assumono un potere quasi radioattivo, carico di una tensione latente che può deflagrare in ogni istante. La grazia, in questo senso, è la vertigine della forma portata al suo limite estremo, il momento in cui la bellezza e il terrore coincidono. Infine, il rapporto con la provincia, con l’idea di uno sguardo decentrato, di una sensibilità radicata in un luogo lontano dai centri del potere culturale. Castellucci non ha mai reciso il legame con la sua terra, la Romagna, ma ne ha fatto un punto di osservazione laterale, una distanza critica da cui esplorare il mondo. Rivendica il valore della periferia, non come isolamento, ma come posizione privilegiata per vedere con maggiore nitidezza. In un’epoca in cui il teatro rischia di diventare un’industria del consenso, il suo lavoro si configura come un atto di resistenza estetica e intellettuale, un tentativo di riportare il teatro alla sua essenza arcaica e sovversiva. Romeo Castellucci ha costruito un linguaggio teatrale inclassificabile, un codice in cui le immagini sono detonazioni di senso, le parole si dissolvono nel silenzio e la scena diventa il luogo di una rivelazione inattingibile. Il suo è un teatro che non si offre allo sguardo, ma che costringe a guardare, mettendo in discussione ogni certezza e aprendo uno spazio di vertigine in cui il sacro e il nulla si toccano.



martes, 11 de febrero de 2025

Dario Fo






Dario Fo è stato un artista totale, capace di unire teatro, politica e poesia in una sintesi esplosiva che ha rivoluzionato la scena culturale italiana e internazionale. Giullare moderno, drammaturgo visionario e narratore affilato, ha costruito la sua poetica sulla fusione tra tradizione popolare e impegno civile, dando voce agli ultimi e denunciando le ingiustizie con un'ironia tagliente. La sua opera più celebre, Mistero Buffo, è l'esempio perfetto della sua capacità di reinventare il linguaggio teatrale, attingendo al grammelot e alla gestualità per creare un codice espressivo universale, dove la parola diventa corpo e la risata un'arma politica. La sua produzione artistica è intrisa di un profondo legame con la politica, non solo come tema ma come metodo di lavoro: il teatro per Fo non è mai stato mero intrattenimento, ma uno strumento di lotta e consapevolezza. Dalla denuncia del potere corrotto ai ritratti pungenti di figure storiche e contemporanee, le sue opere hanno sempre sfidato l'autorità con la forza della satira. Il Premio Nobel per la Letteratura, assegnatogli nel 1997, ha riconosciuto proprio questa capacità di "far rivivere la dignità degli oppressi", celebrando un’arte che mescola il riso con il dramma della storia. Fo ha reso il teatro un’esperienza collettiva e democratica, riportandolo nelle piazze, fra la gente, con testi che parlano il linguaggio del popolo senza perdere profondità poetica. La sua eredità vive nella fusione tra parola e azione, tra ironia e indignazione, ricordandoci che l’arte non è mai neutrale, ma sempre un atto di resistenza e di poesia.

lunes, 10 de febrero de 2025

Ezra







Ezra Pound: il poeta e il suo tempo. Ezra Pound è una figura cardine della letteratura del Novecento, poeta innovatore e mentore di intere generazioni di scrittori. La sua opera spazia dalla poesia alla critica, dalla musica alla politica, con una visione della cultura come un organismo interconnesso nel tempo. Pound è stato protagonista dei movimenti d’avanguardia, dal modernismo all’imagismo e al vorticismo, influenzando autori come T.S. Eliot, James Joyce ed Ernest Hemingway. Il suo genio critico emerge nell'editing della Terra desolata di Eliot, così come nella sua attività instancabile a sostegno di altri artisti. Pound non è solo un poeta, ma un creatore di linguaggi, un traduttore della tradizione nella modernità. Nei Cantos, opera monumentale ispirata alla Divina Commedia, sovrappone epoche, culture e idiomi, utilizzando il provenzale, il cinese, il greco, il latino e l'inglese per costruire un mosaico della storia umana. Tuttavia, il suo rapporto con la realtà storica si complica quando aderisce a teorie economiche e politiche discutibili, avvicinandosi al fascismo e diventando una voce propagandistica durante la Seconda guerra mondiale. Arrestato nel 1945, viene rinchiuso a Pisa, dove scrive i Cantos pisani, tra i più alti momenti della sua poesia. Il suo pensiero ruota intorno al concetto di usura, che considera il male fondamentale della civiltà moderna. In questa visione, l'economia è legata all'etica e alla cultura, e la sua lotta contro l’usura diventa parte integrante della sua poetica. Dopo il processo negli Stati Uniti, viene dichiarato infermo di mente e internato in un ospedale psichiatrico fino al 1958, quando ritorna in Italia. La sua eredità è complessa e controversa: innovatore linguistico e poeta della civiltà moderna, ma anche figura politicamente ambigua. Il testo evidenzia il ruolo centrale di Pound nella letteratura contemporanea, il suo impatto sulla poesia italiana e internazionale, e la sua tensione tra ricerca estetica e ideologia. La sua opera è una costruzione epica del sapere umano, un tentativo di dare ordine al caos del XX secolo attraverso la parola poetica. Nonostante le sue scelte politiche discutibili, la sua influenza sulla poesia rimane indelebile.

jueves, 6 de febrero de 2025

Federico




 



Il cinema come vocazione misteriosa. Federico Fellini racconta il suo rapporto con il cinema, nato quasi per caso e trasformato in una vocazione profonda. All’inizio della sua carriera, lavorava come giornalista e sceneggiatore, senza pensare di diventare regista. L’atmosfera del set lo intimidiva, l’idea di imporre la propria volontà sugli attori gli sembrava impossibile. Tuttavia, l’insoddisfazione per come i suoi copioni venivano realizzati lo spinse a dirigere personalmente i suoi film, accettando un’offerta quasi incosciente di un produttore. Fellini descrive il cinema come un’arte profondamente suggestiva, capace di influenzare il ritmo vitale dello spettatore, condizionandone emozioni e pensieri. Per questo, sente il peso di un’immensa responsabilità etica, anche se cerca di non pensarci troppo per non sentirsi schiacciato. Il suo metodo di lavoro è intuitivo e spontaneo: non segue schemi rigidi e lascia che i personaggi prendano vita anche grazie agli incontri casuali con persone interessanti. Spesso annuncia un casting aperto sui giornali per scoprire volti nuovi e costruisce scene intorno a essi. Pur ammirando registi come Chaplin, Rossellini, Bergman e Kurosawa, Fellini non si considera influenzato da nessuno in particolare, poiché il cinema è per lui una somma di esperienze personali. Nei suoi film esplora la liberazione interiore dell’uomo, cercando di smascherare condizionamenti educativi e sociali che frenano la spontaneità della vita. Non ama parlare delle sue opere perché, una volta terminate, gli sembrano indipendenti da lui, come creature che prendono vita propria.

sábado, 1 de febrero de 2025

Il teatro come città distopica e la libertà di amare






Tecnica, Psiche e l’Universo in Espansione: un Viaggio tra Miti, Scienza e Distopia. In principio era il Verbo, un’onda di possibilità quantistiche immerse nella matrice dell’iperspazio, e dal caos primordiale Dio creò il firmamento, la materia e la luce, stabilendo l’equilibrio tra ordine e entropia. L’universo si espanse, la vita si evolse, e nell’Eden dell’esistenza sorse il dualismo tra conoscenza e obbedienza: Eva, tentata dal serpente quantistico, assaggiò il frutto proibito della meiosi e vide l’infinito, scatenando un’irreversibile inflazione cosmica. Espulsi dal giardino, l’uomo e la donna si trovarono a vagare in un universo governato dal tempo, in attesa della contrazione finale che avrebbe ricreato il ciclo eterno di creazione e distruzione. Mentre il pensiero viaggia tra mito e scienza, il teatro diventa il luogo dove tecnica e psiche si incontrano, una città distopica in cui l’arte mette in scena il conflitto tra passato e futuro. Percorrendo città nebbiose in tournée, il palcoscenico diventa uno spazio di riflessione, una simulazione di realtà alternative, in cui la distopia letteraria si mescola alla concretezza della società contemporanea. Il mondo immaginato da autrici visionarie prende forma: come nel Racconto dell’Ancella, il controllo del corpo femminile diventa arma di potere, e la lotta per la libertà si manifesta nel presente, nelle piazze e nei consigli comunali, dove donne vestite di rosso alzano la voce contro leggi che minacciano l’autodeterminazione. Il teatro, con il suo buio attraversato da luci artificiali, è il luogo della trasformazione, della resistenza e della creazione. Come un respiro cosmico, ogni intuizione scenica nasce da un’immagine, si sviluppa in un pensiero e si concretizza in un’opera, specchio di un’umanità in continua mutazione. Non una di meno, non un’idea soffocata: l’arte continua a espandersi, come l’universo.



Lella Costa e Maura Gancitano





Educazione sentimentale: comprendere le emozioni senza reprimerle. L’educazione sentimentale non significa evitare emozioni, ma piuttosto imparare a comprenderle e gestirle. L’erotica dei sentimenti riguarda la capacità di provare tutto e al contempo chiedersi cosa fare con tali emozioni. Come evidenziato da Antonio Damasio nel concetto del “teatro del corpo”, le energie emotive ci abitano e dobbiamo capire come usarle, poiché rappresentano il carburante della nostra vita interiore. La questione principale è trovare risposte con i mezzi e le risorse a disposizione. Tuttavia, sarebbe utile creare un contesto sociale in cui l’orientamento emotivo non sia una responsabilità individuale esclusiva. Non si dovrebbe percepire il proprio sentire come un problema, ma poterlo affrontare con naturalezza. L’educazione sentimentale non equivale a mantenere un distacco emotivo imperturbabile. Al contrario, implica la consapevolezza del potenziale umano di compiere sia gesti meravigliosi che terribili, scegliendo di non farlo grazie alla riflessione. Il libro a cui si fa riferimento è ricco di spunti e suggestioni, in grado di suscitare riflessioni profonde. Il senso della nostalgia e la lezione di Whitman. Si cita Walt Whitman e il senso di nostalgia evocato nella sezione Calamus di Foglie d’erba. Questo sentimento riguarda la mancanza di un tempo in cui si credeva nell’amore eterno, nella fiducia e nell’onestà. Il poeta descrive l’ammirazione per chi riesce a mantenere l’unione fraterna nell’amore, più che per la gloria dei generali e dei ricchi. È una riflessione sul valore delle relazioni umane, sull’invidia per coloro che riescono a vivere amori autentici e duraturi. Questa riflessione è fondamentale, poiché tocca un bisogno universale: la necessità di connessioni emotive profonde. L’invidia non è necessariamente negativa, ma un segnale di desiderio per qualcosa che si percepisce come prezioso. Educazione sentimentale e il mito della Traviata. Un esempio significativo di educazione sentimentale si trova ne La Traviata, tratta da La signora delle camelie. La protagonista, Margherita Gautier, è una giovane donna con una vita difficile. Alfredo si innamora di lei senza comprenderla veramente e promette di prendersene cura, cosa che lei non aveva mai sperimentato. Tuttavia, il loro rapporto è segnato da incomprensioni. Margherita, abituata a un mondo crudele, cerca di insegnare ad Alfredo come comprendere il suo modo di amare. Tuttavia, quando il padre di Alfredo la manipola per allontanarsi dal figlio, lei cade nella trappola, sacrificandosi per una famiglia che non ha mai avuto. Il dramma nasce dal fatto che non spiega il motivo della sua scelta ad Alfredo, lasciandolo nell’ignoranza.

Noi siamo la nostra memoria



 

La memoria è l'anima dell'uomo e della civiltà, fondamento dell'identità individuale e collettiva, senza la quale l'essere umano diventa un guscio vuoto. Con l'età, si recuperano ricordi remoti e la memoria si espande, accrescendo la nostra essenza interiore, rendendoci più consapevoli di noi stessi. Tuttavia, la memoria è selettiva: dimentichiamo ciò che ci turba e conserviamo ciò che ci conforta, talvolta deformandolo. Questo processo è evidente anche nelle dinamiche sociali: i gruppi reazionari riabilitano ricordi convenienti, mentre quelli rivoluzionari tendono a cancellare il passato per costruire un nuovo inizio. La memoria collettiva si manifesta nelle biblioteche, custodi della conoscenza umana, e nella cultura europea, che sopravvive solo attraverso la continua riscoperta delle proprie radici. Dante stesso descrive Dio come un volume che raccoglie tutto ciò che nell'universo si disperde, simboleggiando l'idea della biblioteca universale. La fragilità della memoria è un tema urgente nella modernità, come anticipato da Asimov, che immaginava un mondo dominato dai computer, dove la perdita delle capacità mnemoniche rendeva l'uomo dipendente dalla tecnologia. L'atrofizzazione della memoria minaccia le nuove generazioni, incapaci di trattenere informazioni senza supporti esterni, riducendo la profondità della conoscenza personale. La memoria individuale si compone di ricordi pubblici e privati, ma i secondi sono più vulnerabili alla dimenticanza. Riscoprire la propria storia attraverso frammenti di memoria collettiva è una strategia per ricostruire l’identità personale. Vivere nel tempo implica un movimento costante tra passato e futuro, come sottolineava Heidegger, e la conoscenza si sviluppa grazie all’eredità dei giganti del passato, sulle cui spalle possiamo vedere più lontano.

ChatGPT puede comet

jueves, 16 de noviembre de 2023

PAISÁ

https://www.filmin.es/pelicula/paisa-camarada
https://en.wikipedia.org/wiki/Paisan




Paisà is a 1946 Italian neorealist war drama film directed by Roberto Rossellini, the second of a trilogy by Rossellini. It is divided into six episodes. They are set in the Italian campaign during World War II when Nazi Germany was losing the war against the Allies. A major theme is communication problems due to language barriers. 

1 ° episodio
Durante l'invasione alleata della Sicilia, una pattuglia di ricognizione americana si reca di notte in un villaggio siciliano. Solo uno degli americani parla italiano. Carmela locale accetta di guidarli oltre un campo minato tedesco. Si rifugiano tra le rovine di un castello sul mare. Mentre gli altri si guardano intorno, a Joe viene assegnato di tenere d'occhio Carmela. Nonostante la barriera linguistica, Joe inizia a superare la sua indifferenza. Tuttavia, viene colpito da un cecchino tedesco. Prima che la piccola pattuglia di ricognizione tedesca raggiunga il castello, Carmela nasconde Joe nel seminterrato. Quando i tedeschi la mandano a prendere dell'acqua, lei si intrufola e controlla Joe, solo per trovarlo morto. Lei prende il suo fucile e inizia a sparare al nemico. I tedeschi la gettarono da una scogliera fino alla sua morte e se ne andarono. Quando gli americani tornano, trovano il corpo di Joe e presumono che Carmela lo abbia ucciso.









2 ° episodio
Gli Alleati invadono l'Italia continentale e catturano il porto di Napoli. Un riccio di strada orfano di nome Pasquale si imbatte in Joe, un soldato afroamericano amareggiato e completamente ubriaco. Quando Joe si addormenta, Pasquale prende gli stivali. Il giorno successivo, Joe, un poliziotto militare, assale Pasquale nell'atto di rubare rifornimenti da un camion. Joe chiede di riavere i suoi stivali, ma quando il ragazzo lo porta dove vive, la vista dello squallore fa sì che Joe se ne vada senza di loro.









3 ° episodio
Fred è un soldato americano ubriaco nella Roma liberata. Una giovane donna, Francesca, lo porta nella sua stanza, sperando di guadagnare un po 'di soldi attraverso la prostituzione. Non è interessato e le racconta della sua futile ricerca di una giovane donna che ha incontrato e di cui si è innamorato poco dopo la liberazione della città, sei mesi prima. Mentre descrive la donna, Francesca si rende conto che lei è la donna; entrambi sono cambiati così tanto nel breve tempo che non si sono riconosciuti.









4 ° episodio
La metà meridionale di Firenze viene liberata, ma i combattimenti feroci continuano nell'altra metà, attraverso il fiume Arno, tra partigiani italiani e tedeschi e i loro duri alleati fascisti. Tutti i ponti tranne il Ponte Vecchio sono stati fatti saltare in aria, bloccando l'avanzata degli Alleati. L'infermiera americana Harriet è frenetica nel farsi strada e riunirsi con un pittore.




















5 ° episodio
Tre cappellani americani sono accolti per stare la notte in un monastero cattolico romano appena liberato. Il Capitano Bill Martin , che è l'unico cappellano che parla italiano, funge da interprete. I monaci sono sgomenti di apprendere da Martin che solo lui è cattolico; i suoi due colleghi sono protestanti ed ebrei. Quando gli ospiti e i loro ospiti si siedono per cena, Martin osserva che i monaci non hanno nulla nei loro piatti. Indaga e apprende che i monaci hanno deciso di digiunare nella speranza di ottenere il favore del Cielo per convertire gli altri due alla loro fede.







6 ° episodio

Nel dicembre 1944, tre membri dell'OSS operano dietro le linee tedesche con partigiani italiani nel delta del Po. Salvano due aviatori britannici abbattuti, ma finiscono le munizioni in una battaglia con il nemico e vengono catturati. I partigiani vengono sommariamente giustiziati il ​​giorno successivo, poiché non sono protetti dalle Convenzioni di Ginevra. Due dei prigionieri di guerra oltraggiati vengono colpiti quando tentano di interferire.